Siena


Dotata di un assetto collinare e di esigue aree pianeggianti, la provincia di Siena si sviluppa a ridosso dei corsi d’acqua dell’Elsa, dell’Ombrone, dell’Arbia e dell’Orcia.

Caratterizzata una natura essenzialmente rurale, alla fine del XIX secolo la popolazione provinciale affiancava all’allevamento equino, ovino, suino e bovino un’agricoltura particolarmente statica, dominata dalle colture arboree (in particolare vite e olivo) e cerealicole (con prevalenza di frumento e granturco) e arretrata persino all’interno del sistema mezzadrile. L’assenza di adeguate vie di comunicazione e di attività produttive di rilievo conferiva alla realtà senese un’immagine di sostanziale immobilismo, tanto che – come osservato da Tommaso Detti – nella precoce crescita di un terziario legato alla centralità del Monte dei Paschi di Siena era possibile scorgere, più che elementi di modernità, i termini di una conservazione sociale, culturale ed economica estranea ad ogni forma di investimento produttivo.

La presenza industriale era circoscritta alle ferrerie, alle vetrerie (celebre la vetreria Nardi, tra le più importanti del Regno) e alle cartiere di Colle Val d’Elsa (incappate in una profonda crisi negli anni Ottanta dell’Ottocento ma sospinte dalla forza idraulica dell’Elsa), a cui si sommavano le miniere di mercurio del Monte Amiata, quelle di zolfo di Lornano (Monteriggioni) e Poggio Orlando, la lignite di Lilliano, l’antimonio di Cetene e le cave di argilla, calcare, marmo e ferro di Poggibonsi, del Chianti e di Montagnola Senese. A puntellare il terreno provinciale vi erano anche cartiere antichissime, accompagnate da mulini e da una stamperia esistente sin dal 1478: a questi potevano essere aggiunti le officine d’armaiolo di Cetona, la cartiera e la fabbrica di olio di Sarteano, la bachicoltura (principalmente nei territorio di Montepulciano, Poggibonsi e Siena, ove risiedeva lo stabilimento bacologico Giovannelli), cotonifici, fabbriche di tessuti di seta, maglierie, gli opifici Bufalini, le Regie Scuole Tecniche Professionali e il lanificio Bichi Ruspoli-Forteguerrieri di Monteroni d’Arbia.

La bassa densità di popolazione – connotata dall’assenza di significativi centri abitati, con le sole eccezioni di Siena, Colle Val d’Elsa, Poggibonsi e del centro minerario e montano di Abbadia San Salvatore – e l’alto tasso di natalità tratteggiavano un’impostazione preindustriale che iniziò a mutare il suo assetto solo all’inizio del XX secolo, quando una serie di flussi migratori dalle aree limitrofe di Arezzo, Grosseto e Firenze contribuì a compensare almeno in parte il deficit demografico. I tratti di una «mezzadria estensiva» caratterizzata da terreni a bassa produttività, da poderi di grandi dimensione e da un sostanziale isolamento delle famiglie coltivatrici continuarono comunque a segnare una profonda diversità dalle vicine campagne del fiorentino, complici una sostanziale permanenza della struttura fondiaria e l’altissima concentrazione della proprietà (destinata a divenire una costante della dimensione rurale provinciale). Nel secondo dopoguerra il capoluogo presentava ancora una sola industria importante, l’Istituto Sieroterapico e Vaccinogeno Sclavo, circondata da una serie di piccole ma importanti attività dolciarie (con specialità che andavano dal panforte ai ricciarelli) come la Fiore di Siena o la celebre pasticceria Nannini. 

Guardando ai dati del catasto agrario, nel 1931 il 65,7% della popolazione sopra i dieci anni di età risultava impegnata nel settore agricolo: di questa, il 21,1% era composto da donne. Fra le varie sottoclassi professionali dell’agricoltura la più rappresentata era quella dei coloni mezzadri (72,4% del totale degli agricoltori); seguivano, pur a notevole distanza, i braccianti, i giornalieri di campagna (10,9 %) e i piccoli proprietari (9,3 %). I salariati e i fittavoli rispondevano viceversa a percentuali molto più basse (rispettivamente il 2,4% e lo 0,9%), mentre gli altri addetti all’agricoltura (zootecnia, silvicoltura, ecc.) componevano il 4,1% della popolazione attiva. Considerando le famiglie agricole dalla condizione sociale di quello che allora veniva definito il «capofamiglia», si rilevava una maggiore diffusione della conduzione in proprio nella regione di montagna, dove i nuclei dotati di terreni propri erano presenti nella dimensione del 31,1 %. Nella regione di collina detta percentuale scendeva per converso al 12,2%, fino  al 7,1% nella zona delle colline del Chianti; sullo sfondo – stando ai dati raccolti da Bruno Vecchio – persistevano i progetti di ruralizzazione fascista, espressi dall’istituzione dei Consorzi della Val d’Orcia e della Val di Paglia con l’obiettivo di promuovere la bonifica delle argille plioceniche.

Nel frattempo era stato fatto registrare un primo sviluppo da produzioni vinicole destinate a caratterizzare la provincia senese su scala globale, come il Chianti, il Brunello di Montalcino e il vino Nobile di Montepulciano. Con questo quadro sullo sfondo, nel 1947 la provincia contava ancora una netta prevalenza della grande proprietà (specialmente nelle Valli dell’Ombrone, dell’Arbia e dell’Asso): 262.866 ettari su 372.628 (pari al 7,54%) appartenevano infatti a possidenti con più di 100 ettari pro capite, rimarcando una specificità simile a quella maremmana. La piccola e piccolissima proprietà era invece diffusa nella zona amiatina e nelle colline sensi, aree in cui (al 1951) il rapporto popolazione-numero delle proprietà fondiarie era pari o inferiore a otto.

Negli anni successivi anche la realtà senese fu protagonista di un esodo agricolo pronunciato, osservando lo spopolamento di numerose zone rurali. La riduzione delle proprietà aziendali sotto i due ettari e la progressiva scomparsa dell’universo mezzadrile (il 12% della superficie aziendale della provincia alla fine degli anni Sessanta) corrisposero ad un aumento delle aziende a salariati (54%) e a conduzione diretta (33%), con picchi rilevanti nel Chianti e in Val d’Arbia. La mezzadria continuava a resistere – con termini quasi contraddittori – nei comuni più urbanizzati, come Siena e Poggibonsi (20%), ed in quelli più periferici (Pienza al 26%; Cetona al 28%; San Quirico d’Orcia al 35%; San Casciano dei Bagni al 40%): ciononostante, al netto di un graduale incremento demografico (nel 1953 la provincia aveva toccato le 46.000 unità), il calo occupazionale sul versante agricolo travolse il settore in modo trasversale. La diminuzione del numero complessivo di aziende agricole (evidente se rapportato all’arco temporale 1947-1970) corrispose ad un aumento del peso specifico di quelle tra i 5 e i 50 ettari (dal 18,5% al 38%), incentivate dalla leggi del 1973 e del 1974 sulla proprietà diretta-coltivatrice. Ciò portò ad una progressiva diffusione di cooperative per la raccolta e la lavorazione dei prodotti agricoli (legate in particolar modo alle filiere del grano duro e del grano tenero), oltre al proliferare di numerose cantine sociali che nel 1974 ricevettero in conferimento circa un nono dell’uva prodotta in provincia (mentre gli oleifici cooperativi accolsero un sesto delle olive). Ancor più avanzate emergevano infine le associazioni per la lavorazione del latte, sorte – tra le altre – a Poggibonsi, Pienza, Contignano, Montepulciano, Monteriggioni, Sinalunga e Monteroni d’Arbia.

Dal punto di vista manifatturiero, il panorama provinciale del secondo dopoguerra orbitava prevalentemente sul versante artigianale: capace di rispondere alle necessità locali, quest’ultimo emergeva con forza dalle statistiche raccolte per il Censimento dell’Industria e del commercio del 1951. Eppure, nella prima metà degli anni Cinquanta la maggiore offerta di lavoro nelle industrie e nei commerci aveva mancato di indurre un analogo incremento di manodopera: a fronte del tasso di crescita progressivo dell’industria turistica, oltretutto, il secondario connesso alla produzione di materiali da costruzione (laterizi, travertini e marmi, prodotti del legno e del ferro) si trovò a fronteggiare una ripresa stentorea dell’edilizia pubblica e privata. Il settore estrattivo vedeva uno dei suoi centri più importanti nella circoscrizione di Asciano, dove la vocazione agricola aveva lasciato spazio all’implemento di manodopera impiegata nelle cave di travertino bianco e scuro e di marmo rosso, nella produzione di ceramiche, nelle fornaci per laterizi e nelle aziende artigiane per la lavorazione del legno; lo stesso accadde ad Abbadia San Salvatore, dove l’industria estrattiva era affiancata da attività legate alla produzione di materiali edili e di mobili e alla lavorazione artigianale del marmo, del granito, del legno e della pelle (nonostante la presenza di una sola forza motrice, la coltivazione cinabrifera della società Monte Amiata di Piancastagnaio), ma anche a Sovicille, Casole d’Elsa (marmo giallo) e Rapolano (travertino)

Le piccole industrie alimentari, tessili, del legno e meccaniche sorgevano prevalentemente nei comuni, traducibili in mulini, forni, sartorie, falegnamerie e piccole officine che contavano un rapporto tra addetti e unità decisamente basso. Era questa struttura a caratterizzare le attività di centri come Radicofani, Radda in Chianti e Radicondoli (tutti al di sotto delle 40 unità locali e dei 100 addetti complessivi), nonché di realtà più ampie quali Monticiano, Monteroni d’Arbia, San Giovanni d’Asso e San Gimignano (a Castellina in Chianti una sola unità locale occupava 96 addetti; a Castelnuovo Berardenga il rapporto era di due a 43; a San Quirico d’Orcia una a 20; a Pienza due a 23; a Cetona una a 17 e a Chianciano una a 26). Tornando al terziario, invece, l’ascesa – pur evidente – risultava quantomai eterogenea: centri come Chianciano contavano alberghi ed esercizi pubblici che occupavano in media 1,5 addetti ciascuno, a differenza di realtà già commercialmente sviluppate come Chiusi. Montepulciano ruotava esclusivamente sui servizi, coadiuvati da piccole attività alimentari da quasi due addetti, mentre Monteriggioni affiancava ad una prolifica industria alimentare (sei unità e 57 addetti negli anni Sessanta) due industrie chimiche, un’impresa di costruzioni e – unica eccezione a livello provinciale – neppure un pubblico esercizio.

Tra i pochi centri a godere di una solida struttura manifatturiera vi era Colle val d’Elsa, dove la lavorazione del vetro, una piccola officina metallurgica ed alcuni nuclei di industrie tessili, di lavorazione della paglia e cartarie garantivano alti livelli di occupazione. Così pure Poggibonsi, dove la scarsa presenza di addetti nei mobilifici veniva controbilanciata dal numero di operai attivi nelle trasformazioni dei minerali non metalliferi (17-18 di media) e nelle aziende alimentari (con 7 unità cadauna di media). I valori di occupazione più alti erano comunque riconducibili a Siena, eccezion fatta per la bassa quota di addetti (circa 10 per unità) presenti nelle industrie alimentari e chimiche.

Nel 1952, di conseguenza, gli addetti nel settore agricolo ammontavano a 83.961, quelli impiegati nei rami industriali a 21.423, a 3.186 nei trasporti, a 6.890 nel commercio, a 620 nel credito e nelle assicurazioni, a 1.622 tra professionisti e addetti al culto, a 4.792 nella pubblica amministrazione, a 414 nella amministrazione privata e a 3.573 nell’economia domestica; risultava in crescita anche il numero di iscritti all’Università di Siena, passati dagli 835 del 1948-1949 ai 993 del 1950-1951 (dopo essere scesi a 699 nel 1949-1950). Nel dettaglio, i picchi di disoccupazione più alti appartenevano ai comuni di Castiglion d’Orcia, Sarteano, Monticiano, Siena, Murlo e Torrita di Siena, mentre – dal resoconto prefettizio stilato per l’Inchiesta sulla disoccupazione  del 1953 – una buona tenuta era stata conseguita da Asciano, Casole d’Elsa, Castellina in Chianti, Castelnuovo Berardenga, Cetona, Gaiole in Chianti, Montepulciano, Monteroni d’Arbia, Pienza, Radda in Chianti, Radicondoli, San Giovanni d’Asso, San Quirico d’Orcia e Sovicille (ogni 100 attivi ne risultavano occupati 96, con 4 totalmente disoccupati).

Negli anni successivi la provincia conobbe un aumento pronunciato delle forze urbano-industriali di distribuzione di beni e servizi (tra il 1946 e il 1965 sorsero ben 2.585 ditte), con una proliferazione di supermercati, bar e ristoranti: la crescita dell’ateneo e l’attrattiva garantita – tra le altre – dalle facoltà di Economia tessevano la veste cittadina di una provincia sempre più orientata alla valorizzazione del proprio patrimonio culinario, storico-culturale e naturalistico, nonostante gli esercizi commerciali al minuto (specialmente nei centri maggiori) avessero iniziato a faticare sempre più di fronte alle trasformazioni del mercato. La centralità del Monte dei Paschi di Siena coincideva inoltre con la grande diffusione di sportelli bancari, storicamente presenti.

Ad entrare in crisi furono soprattutto le attività estrattive, che dai 2.500 addetti del 1951 passarono ai 1.900 del 1971. La chiusura delle cave e la flessione dello smercio locale coinvolsero anche – sulla stessa linea della limitrofa realtà grossetana – l’estrazione dei combustibili fossili (quasi del tutto scomparsa nei primi anni Sessanta): quella del cinabro, in particolare, era già stato protagonista di un drastico calo sul finire degli anni Cinquanta, quando nei comuni di Abbadia San Salvatore, Piancastagnaio e di Castiglion d’Orcia iniziarono a ridurne la produzione con conseguenze pesanti in termini di produzione e di occupazione.

Dal 1971 crebbe anche la presenza di capitale statale, già presente nella zona mineraria di Abbadia San Salvatore (Iri). Nello stesso anno venne costituita la Egam (Ente di gestione di aziende di importanza nazionale operanti nei settori minerari, siderurgici e meccano-tessili), a cui subentrò poco dopo l’Eni: tutte le coltivazioni finirono per confluire all’Ente minerario di Stato, che non riuscì a porre un freno all’opera di mobilitazione disposta dai privati. Le lotte dei minerari e l’importanza del settore per l’economia locale portarono anche alla promulgazione del Progetto Amiata, finalizzato al rilancio del sistema produttivo zonale – mai più riconseguito sul versante minerario – di fronte alla crescente dipendenza dal mercato internazionale.

Ad ascendere, al contrario, furono altri settori, la maggior parte dei quali protagonisti del consolidamento piccolo-medio imprenditoriale toscano (nel 1971 la percentuale degli addetti nei settori “tradizionali” dell’industria manifatturiera senese era del 68,80%). Improntati sull’export e riconducibili alla cosiddetta industria leggera (con riferimento all’alto valore per unità di peso del bene prodotto e alla minore intensità di capitale nella produzione), trovavano i propri riferimenti nel nucleo di industrie dell’abbigliamento di Chiusi e Montepulciano, nella pelletteria (protagonista di un’estensione del 163,3% tra il 1951 e il 1971), nella lavorazione della terracotta, nell’artigianato artistico e – soprattutto – nelle industrie del vetro e del cristallo (la cui tradizione continua ad essere portata avanti attraverso la rassegna “Cristallo tra le Mura” di Colle Val d’Elsa, promossa dal Consorzio del cristallo per valorizzare l’antica arte dei soffiatori e dei molatori), che a livello provinciale annoveravano tra le altre le Cristallerie Arnolfo di Cambio e Vilca (1963), la Calp (1967, nata dalla fusione tra la cristalleria Calb e la Cristalleria La Piana) e la Kristal Krisla (1968, poi Colle Cristallerie).

Nell’area di Poggibonsi e di Colle Val d’Elsa queste ultime vantavano radici di lungo corso, tanto da garantire a supporto della produzione di cristallo la proliferazione di numerose molerie legate alle loro commesse (favorendo pertanto la costituzione di un sistema di industria diffusa). Nel corso della seconda metà degli anni Settanta, tuttavia, gli effetti della crisi impattarono anche su questo campo: l’aumento del lavoro in nero e a domicilio (nell’ottobre del 1977, nella sola Poggibonsi era possibile stimare circa 6.000 lavoratori a domicilio) anticipò una graduale smobilitazione di capitali: alla riduzione dell’attività produttiva seguirono il ricorso alla Cassa integrazione per i dipendenti e numerosi licenziamenti (nella sola Poggibonsi, il numero di lavoratori del vetro era passato dai 513 del 1940 ai 197 del 1961), tanto da portare le forze sindacali a denunciare una perdita provinciale di 2.429 posti di lavoro tra il 1973 e il 1976 (nel 1977, oltre 2.500 maestranze risultavano invece in Cassa integrazione).

Più solida si dimostrò l’industria mobiliera (animata da strutture cooperative e consortili e sostenuta dalle agevolazioni fiscali garantite dalla legge 614 del 1966 per le aree depresse, di cui beneficiarono anche Colle Val d’Elsa, Siena e inizialmente Chianciano Terme), tra i fuori all’occhiello del sistema produttivo territoriale. Ampiamente diffusa in Toscana (con picchi massimi nell’area pisana di Cascina a Ponsacco), nell’area senese contava tre poli di riferimento: quello più importante, riconducibile a Poggibonsi e oggi capoluogo del Distretto industriale dell’Alta Val d’Elsa (che comprende anche i comuni di Colle Val d’Elsa, Certaldo, San Gimignano, Casole d’Elsa e Barberino Val d’Elsa); e gli altri due, di minore entità, incentrati su Torrita e su Abbadia San Salvatore (per comprendere lo sviluppo settore, basti pensare che nel 1940 Poggibonsi contava tre aziende e 62 dipendenti; nel 1961 le ditte erano già salite a 58, con 1.736 addetti). Nel corso degli anni Ottanta e Novanta la provincia seppe affiancare ad una crescita progressiva dei servizi (nell’area dell’Alta Val d’Elsa furono istituiti nel corso degli anni anche un Centro sperimentale del Mobile e dell’Arredamento (istituito nel 1982, quasi vent’anni dopo il Consorzio “Poggibonsi produce”), una delle tre sedi regionali del Centro Formazione Nuove Tecnologie, il Centro Toscano per la Qualità, l’Eurobic e numerose altre società a supporto dell’imprenditoria locale) e del terziario (con un ruolo sempre più rilevante dell’Università, che nel 1992, sulla base della Scuola di Lingua italiana per stranieri, vide la nascita dell’Università per Stranieri di Siena, delle strutture ospedaliere e del credito bancario) altre specialità produttive, non ultime quelle connesse alla fabbricazione dei caravan e dei camper (che vantava a Poggibonsi e nelle aree limitrofe il 90% della produzione nazionale) e all’industria farmaceutica.

Le eccellenze enogastronomiche e i quattro siti Unesco (San Gimignano, Siena, Pienza e la Val d’Orcia) hanno contribuito sin dalla fine degli anni Settanta a rendere la provincia una meta sempre più battuta dai turisti, alimentando un comparto di strutture ricettive tradizionali, ristoranti, attività commerciali (che svolgono un’importante opera di congiunzione con i produttori di olio, miele, zafferano e vino) e agriturismi in costante espansione. La crisi del 2008 – ad ogni modo – si intrecciò sul piano territoriale a quella della MPS, che per un decennio avrebbe trascinato con sé gran parte dell’indotto territoriale e ridotto il capitale finanziario con un enorme impatto su tutti i campi (non ultimo quello sportivo). Guardando alla camperistica, ad esempio, la Trigano S.p.A. (uno dei principali gruppi produttori di macrocaravan presenti nel distretto ed in campo internazionale) riconvertì la propria attività sulla flessibilità d’impiego della manodopera, riorientando – come ricostruito da Francesco Zanotelli – la produzione sul make to order dopo aver licenziato il 31% degli operai (molti dei quali provenienti dal Senegal o dall’Italia meridionale) e il 21,4% degli impiegati.

Ciò detto, negli ultimi anni la provincia è stata protagonista di una faticosa ma percepibile risalita: sebbene i dati del Rapporto 2020 sullo stato dell’economia della provincia di Siena abbiano sottolineato un continuo ed elevato calo della demografia d’impresa (con una predominanza nei settori del commercio, dell’agricoltura e delle costruzioni), alcuni sprazzi di crescita sono emersi dalle aziende impegnate nella fornitura di energia elettrica, nell’istruzione, nei beni per la casa (con i Distretti di Sinalunga e Poggibonsi) e nelle attività artistiche. Nel 2019 inoltre il tasso di disoccupazione provinciale era sceso nuovamente al 7% (0,3% più alto della media regionale, ma 3 punti percentuale più basso di quella nazionale), prodromo di un recupero estendibile anche al post-Covid.

Federico Creatini

09/01/2023


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