Peace & Care – Le bandiere multicolori della pace delle donne
A cura di Stefano Bartolini e Martina Lopa
Tra la fine degli anni ’40 e i primi anni ’50 l’Italia fu uno dei paesi protagonisti del movimento internazionale dei Partigiani della pace, costituitosi a Parigi nel 1949, che si batteva contro il riarmo e l’uso delle armi atomiche e per una politica di pace fra i popoli. Nel nostro paese furono soprattutto le donne a prendersi cura della campagna pacifista, all’interno delle organizzazioni sindacali, associative e partitiche, portando avanti raccolte di firme, manifestazioni ecc… Un elemento di lungo periodo che ha visto le donne, prima e dopo quel passaggio storico, sempre fortemente impegnate a favore della pace. In particolare, tra gli anni ’40 e ’50 si sviluppò “dal basso” la pratica della realizzazione delle “Bandiere multicolori della pace”, di cui sopravvivono numerosi esemplari in archivi sindacali e di associazioni come l’UDI. Si tratta di una pratica autonoma e parallela rispetto a quella delle bandiere della pace arcobaleno conosciute oggi. La realizzazione di queste bandiere era una delle peculiari forme dell’attivismo femminile, che travalicò la campagna pacifista facendole divenire un simbolo e uno strumento di resistenza e di rivendicazione delle istanze di emancipazione delle donne lavoratrici.
Un oggetto politico
Le bandiere sono uno degli artefatti più classici. Prima dell’avvento delle bandiere stampate e prodotte in serie nell’ultimo trentennio del ‘900 si trattava spesso di un oggetto singolo, “La bandiera”, creato appositamente, simbolo identitario fortemente soggettivo di quella specifica organizzazione locale, di mestiere, di fabbrica ecc… e potente strumento comunicativo. La bandiera attira lo sguardo, trasmette contenuti, unisce le persone, risveglia emozioni. In questo caso sono anche un’espressione della cultura delle classi subalterne. L’uso della bandiera in scioperi e manifestazioni occupa lo spazio, crea collettività, invia messaggi, anche attraverso una precisa grammatica dei colori, come il rosso del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici.
Storia della bandiera della pace
La bandiera a strisce orizzontali color arcobaleno è oggi conosciuta globalmente. Le origini di questo vessillo non sono storicamente chiare. Un ruolo importante nella sua diffusione e standardizzazione pare averlo giocato l’Italia, con una spinta proveniente dal filosofo pacifista Aldo Capitini, che portò una bandiera molto simile a quella che conosciamo, riprendendo bandiere che già circolavano, durante la prima Marcia per la Pace Perugia-Assisi nel 1961. Ma già agli inizi del ‘900 il pastore metodista James Van Kirk propose la World Peace Flag – con una serie di strisce in sette colori, il pianeta Terra e sullo sfondo un cielo stellato – riprodotta anche in una cartolina in occasione dell’Esposizione universale di Gand del 1913, con sullo sfondo il Palazzo della Pace dell’Aia inaugurato lo stesso anno. Nel 1897 ne era stata proposta un’altra da Cora Slocomb che disegnò una bandiera consistente in un tricolore a bande verticali giallo, viola e bianco con il motto «Pro Concordia Labor», lavorare per la pace. Qualche anno prima, nel 1891, durante il III Congresso Universale per la Pace, era stata proposta da Henry Pettit una bandiera bianca con la scritta peace che incorporava al suo interno, di volta in volta, una diversa bandiera nazionale.
Le bandiere multicolori delle donne
Poco note sono le bandiere della pace espressione dei movimenti delle classi lavoratrici italiane tra gli anni ‘40 e ‘50 del ‘900, che nonostante la loro diffusione all’epoca restano quasi sconosciute al grande pubblico. Per le loro fattezze sono conosciute anche come bandiere multicolori o “iridate”. La loro storia è parzialmente autonoma rispetto a quella delle bandiere arcobaleno e collegata a precise organizzazioni. Venivano realizzate “dal basso”, spesso a risparmio, con scampoli di tessuto, a riquadri o a strisce (a volte pregiati) spesso arricchite con ricami di testo (firme, slogan, toponimi), di disegni (la colomba della pace) o oggetti del lavoro. Sono arrivate a noi attraverso la memoria di chi le realizzò e utilizzò e tramite fotografie, carte di archivio, articoli di giornali e riviste. Ne sopravvivono numerosi esemplari, a volte in bella vista (incorniciate in comuni, case del popolo, sedi sindacali o di associazioni), altre volte conservate in cassetti, bauli, scatole, sgabuzzini. La loro estetica pone un interrogativo sulla grammatica dei colori: perché fare delle bandiere multicolori per simboleggiare la pace? Probabilmente l’idea che la pace andasse rappresentata con tanti colori si era già fatta strada, a partire dai primi prototipi (circolava una versione standard, poi abbandonata, a strisce verticali con al centro una striscia bianca orizzontale e la scritta “Pace”). Quest’idea, anche in forme imitative, veniva tradotta dallo spirito internazionalista dei movimenti socialisti e comunisti del tempo nella forma di una bandiera che con i suoi tanti colori rappresentasse tutti i popoli del mondo uniti insieme sotto le insegne della pace.
I Partigiani della pace e le donne
Le bandiere furono uno degli strumenti del movimento internazionale dei Partigiani della pace, nato a Parigi nell’aprile 1949. In Italia tra il 1948 e il 1952 svolse un’intensa attività, coinvolgendo l’associazionismo socialcomunista e dialogando con gli ambienti pacifisti cattolici, anche ricorrendo a un nuovo strumento democratico: la petizione popolare. Nel 1949 furono raccolte 7 milioni di firme da inviare all’ONU attraverso una delegazione femminile. In un contesto dove per i militanti e le militanti era normale far parte al tempo stesso del PCI o del PSI, della CGIL e di altre associazioni, furono soprattutto le donne dell’Unione donne italiane (UDI) ad impegnarsi maggiormente nella campagna pacifista e contro la minaccia atomica. Di conseguenza, le bandiere ebbero anche una caratterizzazione e grammatica di genere. La realizzazione delle bandiere era già una delle forme dell’attivismo delle donne: il ricamo era un’arte femminile. Le laboriose e infaticabili mani delle donne cucivano da tempo i vessilli del movimento di emancipazione del lavoro. Le bandiere multicolori divennero così le bandiere della pace “delle donne”, un simbolo delle istanze di emancipazione e per i gruppi che le realizzavano – era sempre un’operazione collettiva – divennero le “loro” bandiere (come affermano le firme) esibite e portate in piazza.
L’UDI e le bandiere “iridate”
Costituita nel 1945, l’UDI scaturiva dai Gruppi di difesa della donna, che avevano contribuito alla Resistenza. Nei primi anni promosse campagne per il disarmo, contro l’ingresso dell’Italia nella NATO e la guerra di Corea, sostenne l’appello contro l’atomica. Il tema della lotta per la pace divenne parte della mobilitazione per l’8 marzo, secondo una tradizione consolidata. Tra il 1947 e il 1948 l’UDI raccolse 6 milioni di firme per la pace, consegnate all’ONU. Le prime informazioni sulle bandiere della pace dell’UDI risalgono alla fine del 1948, diventando dal 1949 un simbolo di lotta e di opposizione alle politiche guerrafondaie, con staffette che vedevano le bandiere protagoniste. A Parma la bandiera, rimossa dalla polizia dalla torretta della fabbrica Bormioli (occupata dalle maestranze), venne portata in bicicletta in alcuni paesi, dove si costituirono i Comitati della Pace al suo passaggio e si raccolsero firme contro il Patto Atlantico. Lo stesso anno l’UDI invitò le donne a portare le bandiere alle manifestazioni dell’8 marzo e in occasione del suo III Congresso. Queste pratiche proseguirono almeno fino alla metà degli anni ’50 ed iniziarono a declinare con il 1956, anno terribile per la sinistra italiana, con l’invasione dell’Ungheria da parte delle truppe sovietiche che aprì fratture e mise in crisi la credibilità del suo impegno pacifista.
Le ragazze della primavera
Le bandiere vennero utilizzate anche negli eventi delle ragazze dell’UDI, come gli Incontri di Primavera o le gare sportive, legandosi così alla gioventù e all’idea di futuro che incarna. All’Incontro del 1951 le giovani di Forlì inviarono una bandiera che recava il nome del circolo di provenienza. Nel 1952, durante il Festival della gioventù a Berlino, le giovani promossero una “Giornata di amicizia” per consegnare la bandiera della pace alle rappresentanti dei 5 grandi Paesi a cui si chiedeva di stipulare un patto di pace e, insieme alle francesi, lanciarono una gara per la bandiera della pace più bella. Emblematica fu la IV Rassegna Sportiva Femminile di Modena del 1954, quando durante una sfilata le ragazze portarono 160 bandiere. Sono numerose le fotografie apparse sulle riviste del tempo in cui le ragazze sventolano le bandiere. A Siena presso le “Stanze della memoria” è esposta una bandiera dove si può leggere la scritta ricamata: «Le ragazze d’Anqua s’impegnano per la pace».
Le bandiere della pace sindacali
Nell’Italia degli anni ‘40 e ‘50 le bandiere della pace erano un oggetto politico conflittuale. Dato che la campagna pacifista si contrapponeva alle politiche internazionali e di riarmo dei governi italiani del tempo, la bandiera della pace era di fatto uno strumento di opposizione e veniva considerata la manifestazione di un’ostilità politica ai governi, che ne perseguirono l’uso attraverso le forze dell’ordine (così come proibirono attraverso i prefetti le petizioni pacifiste in più occasioni). Le bandiere divennero così anche un simbolo e uno strumento di resistenza, e con questa declinazione furono incorporate nei repertori dell’azione sindacale. Le ritroviamo portate in piazza il Primo maggio, esposte ai convegni e ai congressi della CGIL e delle sue categorie, utilizzate in scioperi e manifestazioni. Capitava spesso che sulle bandiere venissero ricamate le rivendicazioni sindacali. Furono numerosi i mondi del lavoro che realizzarono le proprie bandiere, dalle fabbriche alle mondine, e non mancarono bandiere dallo spirito “confederale”, con ricamati i vari utensili simboli del lavoro: la spola dei tessili, l’ancora, il trattore, l’incudine, il martello… Ma anche la fabbrica e le spighe di grano.
Bandiere e resistenza
Le bandiere divennero uno strumento di lotta a tutti gli effetti, come nell’occupazione della fabbrica Bormioli a Parma nel 1949, dove venne issata la bandiera. Molte testimonianze della loro funzione in questo senso provengono dal mondo mezzadrile. Si affermò la pratica di portarle durante gli scioperi e di issarle sulla vetta dei pagliai e nelle aie durante la trebbiatura del grano. Le bandiere riempivano così lo spazio della conflittualità sociale. Le forze dell’ordine furono impegnate in una lunga battaglia per rimuovere le bandiere dai pagliai, in una ricorsa continua, da un pagliaio all’altro, da un’aia all’altra, che si risolveva nel rafforzamento della volontà delle famiglie mezzadrili di issarle, vedendovi un’espressione di emancipazione dai proprietari e della conquistata libertà politica. Sul la rivista della CGIL Lavoro del 1952 si legge sotto a una foto: «Dopo una combattuta lotta i contadini dipendenti degli agrari fratelli Sonnino di Chiaravalle, issano sull’aia la bandiera della pace. I Sonnino pensavano di poter imporre i loro sistemi antidemocratici, ma la lotta dei contadini ha avuto ragione di loro». Nel 1954, durante una manifestazione in Toscana con dei carri trainati da buoi, la presenza della bandiera alla testa del corteo fece scaturire un tafferuglio tra il manifestante che la portava ed i Carabinieri che intimarono di rimuoverla. Le bandiere multicolori delle donne furono dunque utilizzate anche dagli uomini e da categoria sindacali, come la Federmezzadri, dove forte era la cultura patriarcale, rivelando così una capacità egemonica sui repertori dell’azione sindacale.
La bandiera delle mezzadre
Nel 1952 dalla rivista Le nostre lotte le donne della CGIL lanciarono la proposta di una prima Conferenza nazionale della donna lavoratrice, raccolta dal III congresso della Confederazione. La Conferenza si tenne a Firenze nel gennaio del 1954. Nel corso del 1953 si svolsero le assemblee territoriali e delle federazioni sindacali. Fu in questa occasione che le mezzadre della provincia di Firenze realizzarono la loro gigantesca bandiera, che nel linguaggio odierno potremmo assimilare ad un “installazione site specific” di tipo politico. Lunga 7,8 e alta 2,4 metri, la bandiera venne esposta la prima volta all’Assise provinciale delle mezzadre di Firenze il 29 marzo 1953 e successivamente portata all’Assise nazionale di Siena del 18-19 marzo 1953. Una foto venne pubblicata sul settimanale della CGIL Lavoro. La bandiera delle mezzadre fiorentine contiene quasi tutti gli elementi tipici delle bandiere multicolori. Su un lato è composta da un enorme tricolore italiano (altra simbologia ricorrente) e sull’altro dai classici scampoli di tessuti, su cui sono ricamate, stampate o disegnate i nomi delle leghe mezzadrili femminili dei paesi e delle frazioni, slogan per la pace, la Costituzione, la Repubblica, disegni e firme. Al centro spicca una striscia bianca contenente le rivendicazioni sindacali delle mezzadre per il rispetto dei loro diritti e della loro dignità. La bandiera è conservata presso il Centro di documentazione archivio storico CGIL Toscana.